Ci passavo da bambino con i miei genitori ed ogni volta mio papà esclamava: “e rrivammu a mannira a petra”, siamo arrivati all’ovile di pietra. Ancora oggi, una vita dopo, rinnovo quello stupore ma con la differenza che rispetto ad allora, ho un’arma in più a supporto del ricordo. La fotografia.

Vedendo l’imponente muraglia che fungeva da recinto ad un ovile a cielo aperto, capace di ospitare non solo greggi di pecore e possenti mandrie di bovini e altre specie animali, mi ritrovo a documentare un inevitabile processo del tempo che continuano a sgretolarla. Attorno i tratti distintivi della natura dei Nebrodi, sopra il blu terso di un sipario steso al cielo. Ma è il silenzio che con un boato fa vibrare le mura di quel recinto, sottraendo il mio sguardo verso il trionfo fumante da “Muntagna”, pronta ad innescare un dialogo tra me e idda. Ad ogni clic, ricevo in cambio emozioni da conservare nel tempo.
Ritornato dall’escursione su quel perimetro di sassi, mi sono documentato andando a raccogliere informazioni riguardo quella singolare mannìra. Beh, tra le varie reminiscenze, quella che più mi ha colpito, narra di uomini e donne che partivano a piedi da Sant’Angelo di Brolo, paesino dei monti Nebrodi, per andare a lavorare nelle coltivazioni di noccioleti in una zona denominata “a Pillèra” nei pressi di Roccella Valdemone. Un racconto intriso di stenti e fatiche a testimonianza di quel estenuante ed impervio cammino di oltre 35 km che coprivano in 8 ore. Lungo la strada, passavano proprio davanti alla mannìra, che spesso delle volte era una meta, un punto di riferimento poichè offriva loro un esiguo riparo sotto quei macigni durante i violenti acquazzoni di settembre.
© 2021 Carmelo Lenzo – tutti i diritti sono riservati.

Complimenti perché la foto è meravigliosa, come tutta la Sicilia!
Grazie mille!